Numero 214, pag 1-2 - Giugno 2022

Il Decreto Reclutamento mette in ginocchio la scuola. In nome del PNRR si tagliano migliaia di cattedre e si inventa un nuovo carrozzone: la Scuola di Alta Formazione

 

Dopo la Buona Scuola pensavamo di averle viste tutte, ma la proposta renziana era niente al cospetto della virulenza del D.L. 36/2022 “Ulteriori misure urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”. Il provvedimento, in queste ore al vaglio delle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Istruzione Pubblica del Senato, ha colto di sorpresa non solo le sigle sindacali e il mondo della scuola, ma persino le forze politiche e parlamentari che si sono viste esautorare di quel briciolo di rappresentatività rimasta in vigore ormai solo sulla carta. Qualche buontempone addirittura ritiene che lo stesso ministro dell’Istruzione Bianchi ne sia venuto a conoscenza solo all’ultimo momento e che il dicastero di viale Trastevere sia di fatto commissariato dalla troika europea. Questo per quanto concerne il metodo.

Il decreto dunque ha rappresentato l'ennesima invasione in campo contrattuale da parte del Governo, scavalcando sindacati e Parlamento, imponendo delle modifiche del contratto di lavoro unilaterali che prevedono ulteriori carichi di lavoro senza riconoscimento economico, farraginosi percorsi di reclutamento, assurdi meccanismi di progressione carriera meritocratica che hanno il solo scopo di foraggiare corsi alle “scuole di alta formazione”. Nel merito infatti il famigerato D.L. 36 non è solo un pasticcio, è uno tsunami che, qualora andasse in porto così com’è, modificherebbe pesantemente il percorso di reclutamento nonché il perimetro contrattuale relativo all’ambito della formazione degli insegnanti.

La legge prevede un sistema di reclutamento strutturato in tre step con:

  • un percorso abilitante con acquisizione di 60 CFU e prova finale;
  • un concorso pubblico;
  • un periodo di prova annuale in servizio.

Si tratta di un percorso ad ostacoli lunghissimo, che a fronte del misero salario iniziale riservato ai docenti, potrebbe scoraggiare anche i più motivati ad intraprendere la professione.

La formazione degli insegnanti, invece, dovrebbe essere affidata ad una fantomatica Scuola di alta formazione insieme ad Invalsi e Indire, organismi attualmente sull’orlo del fallimento. Il governo si giustifica dietro ai fondi del PNRR, giustificazione sconfessata visto che dei circa 800 milioni di euro necessari per attuare la legge solo poco più di 20 derivano dalle nuove risorse stanziate dall’Europa. Il grosso sarà ricavato dai tagli agli organici (oltre 11mila cattedre in meno) e alla carta docenti. Purtroppo, nonostante lo stato di agitazione della categoria, culminato con lo sciopero dello scorso 30 maggio, quando ha incrociato le braccia circa il 20% del personale, le speranze di approvare emendamenti tesi a migliorare le previsioni normative del testo sono davvero appese al lumicino. La politica appare rassegnata ai diktat del governo e tutti sembrano mirare alla salvaguardia del proprio scranno parlamentare per i pochi mesi che restano alla fine della legislatura. 

E’ necessario sottolineare come l’imposizione di una formazione cancellerebbe la possibilità di una libera scelta del docente e potrebbe incrinarne pericolosamente la funzione, funzione garantita dalla stessa Costituzione Italiana che, all’art. 33 ne consacra la libertà di insegnamento quale caposaldo di democrazia e di confronto pluralistico all’interno dello Stato. Imporre la formazione coatta ai docenti per consentire loro di raggiungere una retribuzione adeguata è un atteggiamento fortemente mortificante, come se finora non si fossero meritati una valorizzazione sul piano professionale.

Inoltre appare fin troppo evidente, da parte del governo, l’intento primario di foraggiare Università ed altri istituti formativi anziché di valorizzare una categoria fin troppo bistrattata da innumerevoli, continue, dannose ed unilaterali riforme che la affliggono da una ventina d’anni.

In buona sintesi siamo di fronte ad un ulteriore passo nella deriva verticistica che sta comprimendo sempre più la democrazia nella gestione della scuola, luogo che dovrebbe esserne la culla e invece si sta trasformando sempre più in un grigio ufficio in cui i docenti, anziché essere considerati dei professionisti, sono sempre più relegati al ruolo di meri esecutori impiegatizi.

 

Cesario Oliva e Michela Gallina