Numero 208, pag 7 - Febbraio 2020

In questo periodo abbiamo assistito alla rincorsa  dei patetici e fuorvianti open-day, la fiera delle vetrine dove le scuole mettono l’accento non tanto sulla qualità dell’insegnamento ma su altre tipologie più allettanti di attività ed intrattenimento.

Nell’ottica dell’autonomia, le scuole entrano in competizione l’una con l’altra e si fronteggiano per la contesa dei clienti, come in un supermercato per l’offerta del prodotto migliore. Peccato che in questo contesto il prodotto migliore non sia considerato lo studio serio che costa impegno e fatica ma tutta una gamma di altre attività più o meno ludico-ricreative che vengono utilizzate come biglietto da visita e vetrina. Quindi le scuole vengono scelte non per lo studio approfondito della letteratura, della storia ma perché in quell’istituto viene attivato il corso di yoga piuttosto che di scacchi o calcetto; le materie curricolari si inseriscono fastidiosamente, come inevitabili incidenti di percorso,  all’interno di un ricco progettificio ricreativo. 

L’idea iniziale di autonomia nasceva come competizione per dare un’offerta formativa migliore, ma non ci sono scuole che attirino iscritti dicendo: “vieni da noi perché ti faremo studiare tanto” perché le scuole che cercano clienti seducono e offrono tutto tranne la formazione vera. A scuola si va per divertirsi e per intrattenersi. Le dimensioni impegno, fatica, sacrificio, componenti necessarie ad un percorso di apprendimento e poi imprescindibili per il resto dell’esistenza, non sono nemmeno nominabili, sono termini desueti e demodé.

Inoltre si stanno formando istituti di serie A e di serie B sulla base del contributo che gli stessi chiedono agli studenti e che consentirà di attivare attività e viaggi più o meno prestigiosi. Una scuola pubblica basata su questi principi è ben lungi dall’eliminare il divario culturale, missione per cui è stata concepita dalla stessa carta costituzionale, ma anzi, non fa che esasperarlo.

Oggi il vero insegnante, quello che si impegna a svolgere scrupolosamente le sue ore di lezione, viene scalzato da quello che vede nel progettificio un’offerta migliore. Dovremmo invece difendere la serietà dello studio e degli strumenti reali che la scuola luna parck non dà più, del resto già la fiaba di Pinocchio, con la tentazione del Paese dei balocchi aveva già mostrato le tragiche conseguenze per chi viene ingannato e illuso di raggiungere risultati senza impegno e sforzo.                                                 M.G.