Numero 207, pag 3 - Luglio 2019

Incredibile storia di vergognoso sfruttamento

Questa è la vicenda di un’insegnante supplente, ormai non più giovanissima, seguita dalla Gilda degli Insegnanti di Treviso e dal legale Avvocato D’Angelo.

 

In data 20 settembre, le viene proposto da una scuola della provincia di Treviso, un contratto a tempo determinato con decorrenza il 21 settembre 2018 e termine al 30 giugno 2019 con part time per 12 ore settimanali su 24 che costituirebbero l’orario normale di cattedra.

La docente accetta e prende servizio dal giorno successivo, con servizio concentrato in due giorni: lunedì  e martedì.

L’anomalia inizia quasi subito perché, dopo il primo contratto, gliene vengono fatti firmare settimanalmente altri, ogni volta per due giorni di servizio: assunta il lunedì e licenziata il martedì, senza quindi scorrimento di graduatoria.

Presta servizio ogni settimana nelle stesse classi e con lo stesso orario, in perfetta continuità per tutto l'anno scolastico.

Le vengono assegnati i registri personali per tutto l'anno, nei quali compare inserito il suo nome come docente della classe.

Poichè insegna con orario di part time al 50%, propone al Dirigente Scolastico il  piano annuale degli impegni funzionali (riunioni) a cui parteciperà, anche in giorni diversi da quelli in cui insegna, rispettando la proporzione con l'orario di servizio e il Dirigente Scolastico lo approva.

Insomma fa tutto quello che dovrebbe fare un insegnante part time con orario di 12 ore.

C'è però un’unica piccola differenza: un insegnante part time a 12 ore viene pagato con il 50% dello stipendio lordo di uno a tempo pieno, la docente in questione invece viene pagata a giornate, come un bracciante e, come se non bastasse, le viene sospesa la retribuzione per i lunedì e i martedì in cui la scuola è chiusa per festività, per ponti e perfino per maltempo, senza rispetto dell’art. 40 co 2 del CCNL 2006-09.

Così riceve, per un anno di insegnamento di dodici ore settimanali comprese le attività accessorie, l'astronomica cifra di 1.053,34 euro, compresa tredicesima!!.

Viene pagata 33 euro al giorno e siccome fa sei ore al giorno si tratta di 5,50 euro all'ora (lordi) invece avrebbe avuto diritto a circa 8.000,00 euro lordi complessivi.

Rispetto quindi a colleghe che hanno svolto le sue stesse prestazioni ha preso 7.000,00 Euro in meno.

A questo danno si somma anche l’impossibilità di far valere l’anno come punteggio ai fini del servizio per l’aggiornamento delle graduatorie, oltre alle ricadute previdenziali di questo trattamento ridotto: un danno enorme, provocato con la massima disinvoltura da parte della scuola di servizio.

Ovvio il ricorso all'Ispettorato del Lavoro in sede conciliativa, pensando che il Ministero della Pubblica Istruzione si rendesse conto dell'assurdità (e magari si vergognasse un po') e offrisse una soluzione decente riconoscendo comunque il servizio annuale e almeno una proposta risarcitoria accettabile.

Invece no! Davanti alla Commissione di Conciliazione, la Pubblica Amministrazione si è dichiarata disponibile a riconoscere solo "ai fini giuridici" il servizio annuo (quindi il punteggio maturato con il servizio), ammettendo implicitamente di avere torto, ma nulla concedendo sul piano economico: ha tenuto stretti i cordoni della borsa come se i 7.000,00 euro da dare alla docente avessero mandato a gambe all'aria il bilancio pubblico.

Ora all'insegnante non resta che difendersi davanti al Giudice del Lavoro per vedersi riconoscere l’elementare diritto alla giusta retribuzione per il lavoro svolto.

A sue spese, dovrà chiedere al Giudice di accertare come i contratti settimanali e i sistematici licenziamenti e assunzioni nascondessero in realtà un unico contratto a tempo determinato, con l'unico fine di ottenere una prestazione risparmiando  7.000,00 euro sulla pelle della docente.

Dovrà chiedere al giudice di applicare il principio per cui conta l'effettività della prestazione e non la forma che le parti le attribuiscono.

Intraprendere  questa battaglia è importante per evitare che quanto accaduto a lei diventi prassi diffusa penalizzando ulteriormente gli insegnanti precari già abbastanza maltrattati.

Quando si parla di tagli agli sprechi sarebbe opportuno distinguere cos’è spreco è cos’è giusto compenso e dignità professionale. Lo Stato che dovrebbe farsi garante del rispetto della legalità non può diventare, attraverso le sue amministrazioni periferiche, un subdolo nemico di cui dover diffidare in continuazione.

Innocenzo  D’Angelo

e Michela Gallina