Numero 196, pag 1-7 - Ottobre 2016

Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale, ci stiamo avviando faticosamente e lentamente verso l’apertura dei tavoli negoziali per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali per il pubblico impiego, così lentamente che non siamo giunti nemmeno ai preliminari.

 

Il nostro contratto è scaduto da ben sette anni, ma il rinnovo si profila scenari più rischioso della stessa mancanza, si tratta infatti di un percorso tutto in salita, sia dal punto di vista normativo che economico. Per quel che riguarda la parte economica, le difficoltà sono dovute all’esiguità delle risorse stanziate: ufficialmente al momento sono solo 300 i milioni destinati per tutto il pubblico impiego, più altri 800 milioni contenuti nel DEF, che corrisponderebbero a circa 7-8 € nette al mese. La cifra è ridicola, per non dire offensiva, tanto da collocarsi al di sotto dell’indennità di vacanza contrattuale, insufficiente persino per risarcire i dipendenti pubblici della mancata applicazione dell´IPCA (Indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell´Unione Europea). Forse nella prossima Legge di Stabilità potrebbero comparire ben due miliardi, ma non possiamo escludere si tratti di un proclama elettorale legato al referendum di dicembre.

Per quanto riguarda invece gli aspetti normativi, il contratto in questi ultimi otto anni ha subito continue e progressive destrutturazioni a causa, in primis, degli effetti della Riforma della Pubblica Amministrazione, la cosiddetta Legge Brunetta, ma anche di decreti legislativi e leggi che l’alternarsi dei governi ha prodotto in grande quantità. Ora la contrattazione si troverebbe di fronte al pesante onere di conciliare l’inconciliabile, ovvero aspetti fra loro contraddittori presenti nei diversi testi normativi che comunque pretenderebbero di ridefinire lo stato giuridico dei docenti, i relativi obblighi professionali, il potere dei dirigenti, gli ambiti della contrattazione integrativa; soprattutto manca completamente la preliminare e fondamentale certezza del diritto su quali siano gli ambiti riservati alla contrattazione ai vari livelli.

Si rende necessaria a questo punto qualche amara valutazione degli aspetti economici.
Il ministro Madia ha proposto di dare più soldi a chi ha gli stipendi più bassi, sensibilità sociale o un modo per risparmiare gli 80 € già erogati da Renzi?
Dove finiscono attualmente le risorse?
Per la “carta dell’insegnante” sono stati stanziati nel 2016, ma sarà così ogni anno, 380 milioni di euro.
Per il “merito” degli insegnanti sono stati stanziati nel 2016, ma sarà così ogni anno, 200 milioni di euro.

Si tratta di quasi 600 milioni, risorse nettamente superiori a quelle stanziate sinora per i contratti di tutto il pubblico impiego (300 milioni). Ricordiamoci però che la carta del docente e i vari bonus per il merito non sono voci di stipendio tabellari, non sono aumenti stipendiali e quindi non hanno ricadute previdenziali! Non sono pensionabili.
Attraverso queste elargizioni calate dall’alto, il governo ha raggiunto l’obiettivo di delegittimare la contrattazione collettiva, il ruolo del sindacato e di concedere ai lavoratori premi e prebende temporanee per garantirsi il consenso necessario per governare. Ma la dignità del nostro lavoro non è in svendita e il nostro impegno sindacale è di ribadirla e tutelarla in tutte le sedi.

Per il prossimo contratto abbiamo una serie di richieste che consideriamo imprescindibili:

  • aumenti stipendiali per recuperare la perdita di potere di acquisto subita negli ultimi 8 anni (9,6% dovuto solo all’inflazione) quindi almeno 132 € netti mensili pro-capite;
  • mantenimento degli scatti di anzianità, quindi mantenimento della progressione di carriera per anzianità di servizio;
  • confluenza tutte le risorse del MOF nello stipendio;
  • eliminazione dei vari bonus previsti per il “merito” e per l’aggiornamento;
  • riduzione della discrezionalità nella distribuzione del FIS adottando il principio: a parità di lavoro o di funzione parità di retribuzione;
  • riconoscimento di funzioni specifiche legate alla didattica o all’organizzazione con retribuzione stabilita a livello nazionale (per evitare le attuale sperequazioni che si verificano fra scuola e scuola);
  • mantenimento dell’attuale orario di lavoro;
  • riduzione volontaria dell’orario frontale per i docenti negli ultimi 5 anni dalla pensione per ricoprire ruoli di tutoraggio, organizzazione e coordinamento della didattica;
  • rafforzamento del ruolo del Collegio dei Docenti e ridimensionamento del potere della dirigenza scolastica;
  • nessuna carriera che lasci margini di discrezionalità al giudizio del Dirigente scolastico qualsiasi ipotesi di carriera docente dovrà essere organizzata con regole nazionali, trasparenti e misurabili oggettivamente.

Michela Gallina