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INVALSI: un Grande Fratello?

 

Lo scorso 28 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il Decreto legislativo che istituisce il Servizio Nazionale di valutazione del sistema di istruzione e formazione professionale e il riordino dell’istituto nazionale per la valutazione, questo è appunto il significato della sigla INVALSI.

L’obiettivo dichiarato di tale istituto è quello di contribuire al miglioramento della qualità del sistema educativo e di valutarne l’efficacia e l’efficienza. Si tratta dunque di un’ulteriore valutazione affiancata a quella che già operano gli insegnanti nei confronti dei loro alunni.

Per i docenti non è una novità, in quanto il decreto che ora rende obbligatoria la valutazione, è stato preceduto da una sperimentazione triennale, a partecipazione volontaria (richiesta con delibera del collegio dei docenti) da parte delle singole istituzioni scolastiche, che è consistita nella somministrazione, agli alunni, di prove cognitive ad uscita multipla finalizzate a misurarne il livello di apprendimento.

Viene da chiedersi come mai, rispetto a tutti gli indicatori che concorrono alla qualità del servizio offerto: strutture, norme di sicurezza, strumentazioni tecnologiche e quant’altro, si sia puntata la lente di ingrandimento solo sul risultato finale, come se questo non fosse il prodotto di molti fattori.

Altra domanda legittima: che uso verrà fatto dei risultati ottenuti? Un paio d’anni fa era circolata la voce quanto mai bizzarra, ma ormai non ci stupiamo più di nulla, che gli insegnanti dovessero ricevere una valutazione ed un conseguente riconoscimento economico in rapporto alla “bravura” dimostrata dai loro alunni. Potremmo chiedere all’INVALSI di andarlo a giustificare presso quei docenti che lavorano nelle scuole di periferia dove lo svantaggio culturale è la regola e dove la percentuale di extracomunitari per classe supera il 30 %, già, perché non tutti gli insegnanti hanno la possibilità di lavorare nelle scuole dei quartieri alti frequentate dai figli dei professionisti.

I colleghi che hanno aderito negli scorsi anni alla sperimentazione, hanno per lo più trovato che le prove fossero poco rappresentative dei contenuti e delle abilità esercitate a scuola. Ora sono cambiati i programmi, la sperimentazione non è stata eseguita sulle Indicazioni Nazionali ma sui programmi dell’85 e allora come la mettiamo con la taratura e l’attendibilità? Del resto il decreto non chiarisce i metodi scientifici attraverso cui verranno stabiliti i livelli di apprendimento, la logica sottostante sembra non curarsi di verificare se tutto questo avrà o meno una validità, l’importante è dare una buona immagine, usando il denaro pubblico naturalmente.

Dal punto di vista teorico, l’esistenza delle scuole autonome renderebbe auspicabile un sistema di controllo atto a garantire il raggiungimento su tutto il territorio nazionale di standard minimi di apprendimento, ma proprio questo sistema contiene una contraddizione intrinseca e difficile da gestire: da una parte si fa appello costante all’autonomia e alla sua valorizzazione e dall’altra si vogliono centralizzare e uniformare i sistemi di controllo tanto perché va di moda, del resto lo hanno già fatto i maggiori paesi europei, peccato che loro abbiano già sperimentato i limiti di certi costosi “carrozzoni”.

Cosa dire poi del fatto che la valutazione venga affidata ad un Istituto che non è indipendente dal Ministero?

E mentre la scuola, in questo momento, mancando delle coordinate indispensabili, naviga nella più totale confusione ed indeterminatezza, formulando domande che continuano a rimanere senza risposta, il Consiglio dei Ministri si preoccupa di avviare tempestivamente questo indifferibile e oltremodo utile Istituto. Tante grazie davvero!

  Michela Gallina

 

 

 

 

 

 

 

 
     

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