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La riforma delle pensioni

 

Lo scorso 29 luglio la Camera ha approvato la legge di delega al Governo concernente la riforma delle pensioni.

La lettura del testo approvato dal Parlamento è veramente difficile, raramente ho avuto occasione infatti di leggere un testo legislativo più caotico e denso di rinvii a Decreti delegati, Decreti Ministeriali e verifiche.

Si tratta di un articolo unico, suddiviso in ben 55 commi, scelta obbrobriosa determinata dalla necessità di chiedere il voto di fiducia su un unico articolo.

Tecnicamente è anche riduttivo definirla Legge-delega, perché alcune parti, ad esempio la ridefinizione delle pensioni di anzianità, sono comunque operative, senza bisogno di ulteriori provvedimenti.

Vediamo, in sintesi le principali novità della legge.

Entro dodici mesi il governo è delegato ad emanare provvedimenti per:

a)       liberalizzare l’età pensionabile (che significa lasciare tutti liberi di lavorare oltre i limiti);

b)       eliminare il  divieto di cumulo tra pensione e lavoro;

c)       sostenere le forme pensionistiche complementari;

d)       estendere il principio della totalizzazione dei contributi versati in diverse gestioni previdenziali (chi ha lavorato alle dipendenze di datori di lavoro che hanno versato i contributi su svariate casse previdenziali, ad es. INPS, INPDAP dovrà essere facilitato nel sommarli in un’unica pensione).

E’ opportuno soffermarci sul punto che riguarda la previdenza complementare, la legge fissa già una direttiva, cioè che dovrà essere previsto il “silenzio-assenso” per trasferire il Trattamento di fine rapporto (TFR) ai fondi pensione complementari. Va subito chiarito che tale norma non è immediatamente operativa, essa è rinviata ad un successivo decreto delegato, comunque parla di TFR “maturando”, espressione che dovrebbe mettere al riparo – in ogni caso - buonuscite e TFR già maturati.

E’ quindi anche prematuro dire se il “silenzio-assenso” riguarderà solo coloro che – nella Scuola – sono in regime TFR (gli assunti dopo il gennaio 2001) oppure anche i colleghi assunti precedentemente e che quindi sono in regime buonuscita INPDAP.

Tra le buone intenzioni previste per scoraggiare i pensionamenti anticipati c’è anche l’agevolazione dell’utilizzo del part-time nei confronti di coloro che abbiano maturato i requisiti per la pensione di anzianità.

Il comma 3 della legge stabilisce per coloro che matureranno  entro il 31/12/2007 i requisiti previsti per la pensione di anzianità dalla normativa precedente alla legge, di mantenere il diritto alla prestazione pensionistica secondo le norme precedenti e poter chiedere la certificazione del diritto all’ente previdenziale.

Siccome nel comma successivo, del tutto inspiegabilmente, il legislatore ribadisce che coloro che hanno maturato i requisiti pensionistici alla data del 31.12.2007 si vedranno garantito anche il precedente sistema di calcolo. Questa garanzia espressa però fa sorgere il legittimo dubbio che, in sede di emanazione dei provvedimenti delegati, la stessa garanzia possa non valere per tutti gli altri. In parole povere è lecito sospettare che si possa ancora peggiorare il trattamento pensionistico di questi ultimi.

Il comma 5 stabilisce i nuovi requisiti per l’accesso alla pensione: 40 anni di contributi, indipendentemente dall’età, oppure non meno di 60 anni di età e 35 di contributi; dal 2010 l’età anagrafica minima sarà elevata a 61 anni.

Verrà mantenuta la possibilità per le donne, anche dopo il 2008, di andare in pensione con gli attuali requisiti, a condizione che optino per il calcolo con il sistema contributivo, subendo quindi una pesante penalizzazione sull’entità della pensione.

Per addolcire la pillola saranno previsti maggiori benefici, per ora indeterminati,  per le lavoratrici madri e per le categorie che svolgono lavori usuranti.

Il comma 11 della legge tratta la famosa faccenda del “bonus” da cui sono esclusi – per ora – i pubblici dipendenti: esso consiste nell’attribuire, tra il 2004 e il 2007, a coloro che abbiano maturati i requisiti, ma non chiedano il pensionamento, un bonus pari ai contributi (circa un terzo dello stipendio) che sarà aggiunto alla retribuzione in esenzione fiscale.

Si tratta di una cifra non piccola, in pratica tutta la parte di contributi pensionistici, va detto però che chi incasserà il bonus non vedrà più crescere la pensione per gli anni considerati. Potrebbe essere una mela avvelenata: una scelta utile solo per chi pensa di non vivere a lungo dopo la pensione.

Per quale motivo sono esclusi i pubblici dipendenti dal bonus? La spiegazione è semplice: una brutta annosa faccenda, che molti ignorano, vede lo Stato quale unico datore di lavoro che non versa contributi pensionistici ai propri dipendenti: essi sono semplicemente virtuali. A questo punto è banale intuire come l’operazione diventerebbe costosa per lo Stato, i pubblici dipendenti quindi non potranno godere i frutti della “mela avvelenata”.

Per i dipendenti privati invece l’operazione è a costo zero, i contributi vengono presi e versati al lavoratore anziché all’INPS, la pensione viene bloccata e nessuno quindi ci rimette.

Rino Di Meglio

 

 

 

 

 

 

 

 

 
     

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