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Redazione

Segreteria Nazionale

MAGGIO 2008


MERITOCRAZIA

“Meritocrazia” è la parola d’ordine dello schieramento politico che ha vinto le elezioni di aprile 2008, “meritocrazia” è l’invocazione di chi si riferisce alle pubbliche amministrazioni, per gli insegnanti è il gran tormentone ricorrente a legislature alterne. “Premiare i meritevoli” è un principio fin troppo saturo di buon senso, un principio universale ed indiscutibile… forse!

I sindacati appaiono molto cauti nel manifestare entusiasmo verso questa tendenza ed ecco subito pronta la spiegazione nei luoghi comuni: i sindacati alimentano lo spirito corporativo chiuso e ristretto, difendono i fannulloni e gli assenteisti, bloccano le possibili strade di evoluzione e sviluppo della professione.

Speriamo qualcuno dei ben pensanti voglia magari provare ad ascoltare le ragioni delle organizzazioni sindacali. Da sempre noi ci siamo dimostrati disponibili ad accogliere la possibilità di premiare il merito, ma quale merito? Oggi nella scuola vengono premiati, e solo dal punto di vista economico, gli insegnanti che svolgono un maggior numero di ore aggiuntive: commissioni, referenti, progetti, funzioni organizzativo-amministrative di supporto al dirigente e così via. Ma queste mansioni fanno veramente di un insegnante un bravo insegnante? Un insegnante migliore rispetto ad un collega che orienta tutte le proprie energie nel lavoro d’aula? Qual è lo specifico richiesto ad un docente? Quali sono gli aspetti qualificanti la bravura sui quali valutare un docente? Supponiamo si tratti di un insieme complesso di capacità: didattiche, caratteriali-relazionali, critiche e di conoscenze culturali, quali potrebbero essere gli indicatori seri ed attendibili sui quali misurare il merito di un docente? In realtà il problema è di difficile soluzione, il rischio, da parte dell’amministrazione, è proprio quello di rifugiarsi nelle soluzioni “facili” tanto per poter dire: abbiamo misurato i docenti, ora siamo in grado di fornirvi gli insegnanti “migliori”. Già nei paesi anglosassoni c’era stato il tentativo aberrante di misurare gli insegnanti sulla base del livello di apprendimento degli alunni, apprendimento dimostrato attraverso la capacità di risposta ai test ad uscita multipla. Bene, gli insegnanti che, come molti comuni mortali, vivono del loro stipendio, sebbene modesto, in quell’occasione smisero di “insegnare” secondo i loro principi ed iniziarono ad “addestrare” gli alunni a rispondere ai quiz. I commenti sul miglioramento del servizio offerto e dei risultati raggiunti sono del tutto superflui, ma la sete di misure oggettive era sicuramente stata appagata. Senza contare poi che il livello di apprendimento è influenzato non solo dall’insegnamento ma dalla situazione di partenza, dal livello socio-culturale, dalle capacità degli alunni, dal coinvolgimento emotivo e sostegno affettivo. Sono tutti fattori che chi insegna conosce benissimo, ma certe “trovate geniali” da parte dei legislatori purtroppo vengono calate dall’alto, da chi con la scuola ha ben poco a che fare, magari da chi può misurare la produzione aziendale sulla base di tempi e pezzi prodotti. Peccato le persone non siano oggetti e le variabili operanti siano pressoché infinite!

Andiamo a dire a qualche collega che si trova con una classe sovraffollata, gravata da una presenza numerosa di alunni stranieri, magari da uno o due alunni diversamente abili, in una zona di livello socio-culturale basso che i risultati dei suoi alunni saranno confrontati con quelli di un collega più fortunato che insegna a pochi alunni in una zona dove prevale un altro livello culturale, dove non ci sono altrettante situazioni problematiche… Ma quale dei due sarebbe il docente da premiare?

Oppure si può decidere di premiare in base alla tendenza attuale: chi fa più attività aggiuntive, chi fa piccole carriere e raggiunge una qualche posizione di supremazia gerarchica interna alla scuola, talvolta per compiacenza al dirigente (yes men and women), il tutto sottraendo tempo ed energie all’insegnamento vero e proprio. Sicuramente il numero di ore aggiuntive svolte risulterebbe misurabile! La relazione fra questo e l’essere migliore e meritevole è tutta da dimostrare.

Premiamo chi fa i corsi di aggiornamento? Certo questa sarebbe una buona cosa, sicuramente necessaria, l’arricchirsi di nuovi stimoli, di nuovi strumenti, del confronto… necessaria ma non sufficiente, non possiamo sapere che uso farà il docente di quanto offerto dai corsi.

Per i genitori ahimè, ultimamente, i bravi insegnanti sono quelli compiacenti rispetto a qualsiasi risultato di apprendimento e comportamentale degli alunni, quelli ai quali va bene tutto: “Gli alunni sono bene educati ed imparano senza difficoltà” così le famiglie sono contente, i dirigenti non hanno seccature e gli alunni poco preparati graveranno sull’ordine di scuola successivo.

Misurare la capacità di insegnare è una grossa e difficile sfida, chissà se qualcuno vorrà davvero investire sulla possibilità di mettere a punto dei criteri di osservazione e misurazione efficaci; in un’epoca di tagli quale si presenta quella attuale, non è facile credere a seri investimenti rispetto a questo obiettivo. Purtroppo il nostro timore è che il tutto sia liquidato con qualche soluzione banale, economica, rapida e fuorviante che crei meccanismi perversi di autodifesa.

Potrebbe essere ragionevole, sempre se si disponesse degli strumenti necessari, orientare precocemente i soggetti con “inclinazione” all’insegnamento (data da aspetti personali, emotivi, relazionali oltre che culturali) in modo da impedire, a quelli meno dotati, di intraprendere inutilmente un lunghissimo percorso di studi senza sbocco. Inoltre non possiamo dimenticare che comunque le persone si modificano, tutti gli aspetti sopraelencati possono evolvere nel tempo attraverso le esperienze, attraverso il permanere stesso nell’istituzione scolastica, anche in senso negativo se pensiamo ai numerosi casi di burn-out.

Al di là di tutte le possibili misurazioni sarebbe molto proficuo valorizzare le persone per metterle nelle condizioni di dare il meglio, valorizzarle non solo dal punto di vista economico ma restituire loro la dignità professionale che spetta. Anche quarant’anni fa, la maestra, il professore, non erano persone “ricche” dal punto di vista economico, anzi, anche allora si lamentavano del livello di stipendio, eppure erano persone riconosciute e rispettate, consapevoli ed orgogliose di svolgere una professione importante. Oggi, a fronte di una preparazione costante, di impegno, richieste e tempi maggiori, di una realtà scolastica ben più complessa ed impegnativa, gli insegnanti sono diventati il capro espiatorio della società, non credo il problema stia solo nel loro scarso merito!

 

Michela Gallina

 

 

 

 

 

 

 

 

 
     

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