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Insegnante? Ma chi me lo fa fare?
Riflessioni a ruota libera su una professione in declino

Chi scrive appartiene ad una specie ad alto rischio di estinzione e…forse anche chi legge!
Considerando che l’età media degli insegnanti attualmente in ruolo si attesta intorno ai 48 anni abbondanti, e che quasi il 50% ha più di cinquant’anni, potremmo ragionevolmente aspettarci che entro il 2015-2016 la metà degli insegnanti, attualmente in servizio, se ne andrà in pensione. D’altro canto anche il precariato storico comincia ad avere un’età ben che matura! Nella scuola si attende dunque un massiccio turn over di personale…Ma ci sarà qualcuno che aspirerà a prendere il nostro posto? Quale sarà il futuro della nostra professione? La soluzione agli interrogativi forse si può trovare nelle fantasie e nei desideri dei giovani. Le loro aspirazioni sicuramente sono condizionate dal modo in cui vedono, considerano e giudicano noi e la nostra professione con i significati ad essa legati.
Alcune risposte a questi quesiti sono rintracciabili in un’interessante pubblicazione dal titolo provocatorio: “Perché non sarò mai un insegnante” scritto dal docente liceale Gianfranco Giovannone che si è preso la briga di intervistare i suoi alunni in merito all’opinione che costoro hanno della professione di insegnante.
Il quadro emerso è tanto significativo quanto sconfortante e forse, almeno in parte, prevedibile. In un contesto culturale che propone tre valori assoluti: denaro, potere e successo, non potevamo certo attenderci che la nostra attività risultasse in qualche modo appetibile. Dunque i nostri allievi la considerano: mal retribuita, noiosa, ripetitiva, senza possibilità di carriera, latrice di scale di valori decisamente fuori moda: impegno, disciplina, dovere, amore per lo studio. Oltre che fuori moda, quello che la scuola propone è spesso visto quasi in contrapposizione ai valori di promozione mediatica: rendere attraenti concetti quali ricchezza interiore e culturale, aspetti sicuramente non molto appariscenti nelle persone che ne sono portatrici, è impresa ben più ardua rispetto ad affermare l’ostentazione degli status simbol e della ricchezza che può tutto, il primato dell’avere rispetto all’essere, tanto per riprendere un tema molto ben sviscerato da Fromm.
Un lavoro in via di estinzione dunque?
Ma quali i fattori alla base di questo progressivo e graduale declino oltre a quelli già esaminati? Quali i responsabili?
L’opinione pubblica non è certo benevola nei confronti della categoria, alimentata anche da un filone giornalistico molto accanito nel denigrare e nell’attribuire alla scuola la causa di tutti i problemi, riesce in tal modo a far leva su tutte le frustrazione ataviche accumulate nei confronti delle imposizioni istituzionali, una sorta di ribellione adolescenziale collettiva reiterata.
Se poi vogliamo aggiungere l’ingerenza dell’utenza nelle questioni scolastiche che, con la riforma Moratti, ha trovato anche una legittimazione normativa, allora capiamo come la confusione delle sfere di competenza stia svuotando la professione delle sue peculiarità, la valutazione in primis. La docenza non è più una professione con una sua identità ma è un territorio indefinito in cui chiunque pascola ed interviene.
Altra ferita inferta alla categoria appare dall’ultimo decreto di attuazione della Riforma e riguardante il nuovo sistema di formazione degli insegnanti. Per le nuove reclute è stato predisposto un iter tanto lungo quanto dall’esito incerto, con varie prove selettive di sbarramento che riuscirebbero a scoraggiare anche il miglior intenzionato. E questo a fronte di quali soddisfazioni professionali future?
Le stesse Organizzazioni sindacali dovrebbero fare un’autocritica sul proprio operato ed assumersi alcune responsabilità! I Confederali, ad esempio, continuano a considerare e tenere gli insegnanti nel grande calderone dei ”lavoratori della scuola” negando loro perfino la dignità di un’area contrattuale separata rispetto agli ATA, che hanno mansioni completamente diverse. Per darci un misero contentino economico si sono inventati l’aggiuntivo, perché probabilmente nella stessa concezione di coloro che dovrebbero difendere la categoria, gli insegnanti lavorano troppe poche ore e così, anziché valorizzare l’insegnamento e la funzione docente, ci hanno fatti diventare dei burocrati, oberati di carte, commissioni, progetti… Poi non ci vengono certo risparmiati i luoghi comuni anche dal punto di vista economico, perché si sa che il riconoscimento di una funzione professionale importante passa anche attraverso quel sistema di misura e allora ci sentiamo dire: “se i docenti vogliono uno stipendio conforme agli standard europei devono lavorare di più, come fanno appunto gli insegnanti delle altre nazioni europee, quelle trainanti: Germania, Francia, Belgio, Olanda, Svezia, Finlandia”.
Ma sarà poi vero che in queste nazioni gli insegnanti prestano un maggior numero di ore rispetto ai docenti italiani? Ebbene no, un rapporto dell’OCSE rivela che il numero di ore di insegnamento tende ad equivalersi nei paesi sopraelencati, a fronte di stipendi invece significativamente differenziati.
E mentre gli insegnanti sono assediati su più fronti: famiglie, dirigenti, opinionisti, ministri che calano dall’alto riforme assurde e mortificanti, ci giochiamo tutti una partita di valore, il valore di una funzione complessa e delicata che non risulta ancora sostituibile e sostituita. Da sempre la storia ha valorizzato l’elevato ruolo e la responsabilità della “guida” che, depositaria della cultura intesa come bagaglio dell’umanità, aveva il compito di condurre ed accompagnare l’allievo in un viaggio attraverso un sapere collettivo, frutto dell’intera storia del pensiero, compresa ma non limitata o finalizzata al solo adattamento funzionale alla società contemporanea e ai suoi imperativi. Il “ruolo” chiave dell’insegnante dovrebbe consistere nel favorire lo sviluppo della capacità di e analisi autonoma e critica fra diversi modelli, scelta consapevole che si contrappone alla più comoda ed immediata accettazione dell’imposizione coatta di valori che seguono le sole leggi del mercato. Le origini della nostra associazione culturale allargata, la Gilda degli insegnanti, hanno preso il via proprio da un risveglio di orgoglio professionale e ci auguriamo che questo sussulto possa ancora produrre degli effetti tali da consentirci di prendere coscienza prima e in secondo luogo, di far riflettere la collettività sulla dignità di una professione troppo spesso e superficialmente svalutata. Michela Gallina
 

 

 

 

 

 

 

 

 
     

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