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può essere mossa all'insegnante solo l'accusa di essere incorsa nella negligenza minima (colpa lievissima), che non integra gli estremi della responsabilità amministrativa a carico del pubblico dipendente.
Sentenza 1 aprile 1980, n. 2119, (Cassazione civile - Sez. III).- Colpa in educando e colpa in vigilando: responsabilità dei genitori e responsabilità degli insegnanti in caso di comportamento dannoso di un alunno.
La responsabilità dei genitori prevista dall'art. 2048 (1) Codice civile si fonda sulla presunzione di colpa in vigilando e in educando e, pertanto, quando venga meno la prima, per l'affidamento del minore a persona idonea a provvedere alla sua direzione e controllo, rimane a loro carico l'onere di provare l'insussistenza della colpa in educando, ben potendo farsi risalire ad essa soltanto il comportamento dannoso del minore. (Nella specie, e stata affermata la responsabilità per colpa in educando, del genitore di un alunno di prima media, il quale, in presenza dell'insegnante cui la scolaresca era affidata, aveva ferito ad un occhio un compagno con la stecca di supporto di una carta geografica.
Sentenza 24 febbraio 1997, n. 1683.- Responsabilità civile - Precettori e maestri - Prova liberatoria - Atto illecito degli allievi - Responsabilità degli insegnanti delle scuole elementari per i danni conseguenti - Limiti - Prova liberatoria - Oggetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione notificata il 24 ottobre 1987 S.G., quale padre esercente la potestà sulla figlia minore B. (n. il 26.6.1975), premettendo che quest'ultima il 3 aprile 1984 mentre si trovava nei locali della scuola ele
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c.; d) che comunque la presunzione di responsabilità fondata sulla norma da ultimo citata doveva ritenersi vinta dall'acquisita prova circa il positivo esercizio da parte della maestra del suo dovere di vigilanza e circa il verificarsi del tutto repentino e imprevedibile del fatto in questione. Avverso detta sentenza S.B., nel frattempo divenuta maggiorenne, ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui gli intimati hanno resistito con distinti controricorsi. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo la ricorrente, deducendo la violazione dell'art. 2048 c.c., censura la sentenza impugnata sul rilievo che non sarebbe stata fornita dall'insegnante la prova positiva per superare la presunzione di responsabilità da culpa in vigilando. Con il secondo motivo, sempre sotto il profilo della violazione dell'art. 2048 c.c., critica la decisione predetta per aver ritenuto che l'insegnante avesse fornito la prova liberatoria di aver esercitato "in modo pieno la vigilanza sulla classe", mentre al contrario risultava che al momento dell'evento gli scolari si stavano rincorrendo e che l'insegnante - la quale nessun provvedimento disciplinare aveva adottato - aveva dichiarato di non sapere ricostruire l'accaduto. Con il terzo motivo denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione alla prova del ritenuto difetto di responsabilità dello scolaro R.D. (indicato dalla difesa attrice come colui che avrebbe dato una spinta alla compagna di classe S.B. facendola cadere a terra). Con il quarto motivo insiste nel vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere questa affermato che non era mai emerso in istruttoria che la scolaresca avesse tenuto nell'occasione un comportamento scorretto, quando invece era risultato che gli scolari stavano giocando e si stavano rincorrendo. Con il quinto ed ultimo motivo si denuncia la violazione degli artt. 2055 c.c. e 112 c.p.c., nonchè il difetto di motivazione in relazione al mancato esame da parte della corte di merito dell'argomentazione dedotta
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mentare "Aldo Moro" di Varedo, spinta a tergo dallo scolaro R.D., era caduta a terra riportando a rottura dei denti incisivi, conveniva dinanzi al Tribunale di Milano i genitori del R., in proprio e quali legali rappresentanti del figlio minore, l'insegnante T.L., presente all'incidente, e il Ministero della Pubblica Istruzione, chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni indicati in complessive L. 11.940.000. Tutti i convenuti, costituitisi, negavano l'addebito. Con sentenza del 19 dicembre 1991 il Tribunale adito rigettava la domanda, compensando le spese. Tale decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Milano che con sentenza del 15 marzo 1994 riteneva tra l'altro: a) che dalla prova orale - come correttamente valutato dai primi giudici - non emergeva alcun elemento chiaro tale da far risalire la caduta della bambina ad una spinta esercitata dal compagno di scuola R. e comunque da terzi, trattandosi di versione non direttamente constatata da nessuno dei testi escussi e non essendo mai emerso in istruttoria che la scolaresca avesse nella circostanza, mentre era in attesa di uscire dalla scuola, tenuto un comportamento non consono ai principi della buona condotta o particolarmente vivace; b) che pertanto nessuna responsabilità, astrattamente riconducibile alla culpa in educando era addebitabile ai genitori del minore R., nemmeno sotto il profilo della responsabilità solidale ex art. 2055 c.c., peraltro invocata solo in comparsa conclusionale d'appello; c) che mancando la prova del fatto illecito ad opera di taluno degli scolari, andava esclusa anche la responsabilità dell'insegnante e dell'Amministrazione scolastica ex art. 2048 c.
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