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Categoria: Giugno 2021
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Numero 213, pag 7 - Giugno 2021

La nota 594 del 20 aprile 2021, a firma del capo di dipartimento, Stefano Versari, ha posto un ulteriore ostacolo all’esercizio della trasparenza nella Pubblica Amministrazione. Come ha infatti commentato il Coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, Rino Di Meglio: “In barba al principio di trasparenza, in Italia la pubblica amministrazione diventa sempre più opaca”.

Versari infatti, in seguito al parere fornito dal Garante per la protezione dei dati personali, stabilisce che le scuole non devono fornire ai sindacati i nominativi e i compensi dei docenti impegnati nelle attività realizzate con il fondo di istituto. Secondo le disposizioni di viale Trastevere, dunque, i dirigenti scolastici sono tenuti a fornire soltanto dati numerici o aggregati relativi al personale che ha percepito compensi attinti dal FIS. Tradotto in parole semplici significa che, all’interno delle scuole, non è possibile sapere “chi” ha guadagnato “quanto” per fare “cosa”. Questo ostacolo diventa imbarazzante, tanto per usare un eufemismo, soprattutto per le RSU che non hanno modo di verificare se gli accordi presi all’interno degli incontri di contrattazione vengano veramente rispettati. Quindi la precisazione di Versari, oltre a risultare svilente del ruolo delle RSU, asseconda una pericolosa tendenza che potrebbe essere la premessa di fenomeni di corruzione o comunque di distribuzione discrezionale del denaro pubblico, tendenza non in linea con i principi costituzionali e sulla quale le sentenze i vari tribunali regionali si sono avvicendati con esiti alterni, invertendo di volta in volta le condotte da tenere all’interno delle scuole e generando non poca confusione.

Nel 1990, grazie alla legge 241 del 7 agosto, l’Italia fece un grande passo avanti sul fronte della trasparenza e dell’accesso agli atti amministrativi, stabilendo il principio per cui tutti i fondi erogati dalla pubblica amministrazione devono essere resi noti. Nel corso degli anni, la grande resistenza degli apparati burocratici ha teso sempre a vanificare gli effetti di questa legge. L’ultimo tra gli interventi in tal senso porta la firma del Garante della privacy, un’autorità amministrativa che decide di far prevalere il diritto alla privacy su quello alla trasparenza. E così, paradossalmente, da una parte c’è una legge che obbliga a pubblicare nei siti istituzionali gli stipendi dei dirigenti della pubblica amministrazione, e dall’altra si consente agli stessi dirigenti di non dichiarare i nominativi delle persone che ricevono fondi pubblici.

Successivamente il DL 97/2016, noto come Decreto Madia, ribadiva l’importanza di consentire l’accesso civico ai cittadini, quindi il diritto di ciascuno di controllare come viene amministrato il denaro pubblico, quello di tutti, ma in realtà al di là dei grandi proclami formulati per porci in linea con le direttive europee, la sostanza è rimasta invariata: paradossalmente è il Garante per la privacy a dettare legge senza che questo susciti la minima indignazione presso l’opinione pubblica.

Purtroppo si tratta di una situazione vergognosa rispetto alla quale la Gilda degli Insegnanti si sta battendo da anni e continuerà a farlo.

M.G.