Numero 205, pag 4-5 - Novembre 2018

I ragazzi sono nativi digitali e quindi si muovono con grande agilità nel mondo della tecnologia, ma queste abilità e competenze “tecniche” e “strumentali” non sono sufficienti a farli agire anche in maniera corretta e sicura verso sè e verso gli altri, nel rispetto della propria ed altrui privacy.

L’avvento degli smartphone ha trovato tutti impreparati, non sarebbe stato possibile prevedere le conseguenze dell’uso di uno strumento di cui, in fase iniziale, sono state enfatizzate soprattutto le potenzialità e comodità ma sottovalutati i rischi e le insidie. E’ stata sicuramente imprudente la ministra Fedeli a caldeggiare l’uso degli smartphone in classe.

Tuttavia è impensabile escludere la tecnologia dalla vita e dalla didattica dei ragazzi, pertanto non si tratta di vietarne l’uso, anzi, l’accesso al web e ai social consente la condivisione immediata di documenti, la ricerca rapida, l’invio di foto, materiali, filmati e così via. Il problema è che la condivisione non ha limiti e confini e questo può comportare conseguenze importanti ed a volte irrimediabili sia rispetto alla sicurezza personale che reputazionale degli utenti.

Purtroppo i ragazzi si sentono illusoriamente e quindi pericolosamente protetti proprio dallo schermo. Dietro al display di un telefonino o al monitor di un pc si percepsicono al riparo, nascosti, ma in realtà si tratta una protezione molto ingannevole perché è come se si trovassero in un’immensa vetrina affacciata sul mondo, il grande palcoscenico del web dove tutti possono esprimere giudizi, criticare e condannare. Il peso dei giudizi e della conseguente vergogna è proporzionale al numero di spettatori ed alcuni ragazzi ne rimangono schiacciati. Non possono infatti sapere quale uso i loro interlocutori faranno di queste immagini, se verranno condivise poi con migliaia di altri utenti senza che gli interessati lo sappiano, salvo poi vivere una vergogna insopportabile quando lo vengono a scoprire, vergogna che più di una volta ha prodotto anche dei comportamenti estremi di cui abbiamo letto nella cronaca nera. Questi episodi di violenza vanno sotto il nome di cyber-bullismo, una forma di prevaricazione messa in atto da una persona o da un gruppo contro una vittima. Avviene tramite le tecnologie digitali e per essere tale occorre che sia protratta nel tempo e che ci sia la precisa volontà, da parte del cyberbullo, di nuocere.

A differenza del bullismo classico, che ha come teatro la scuola o la piazza del paese, quindi luoghi e tempi circoscritti, il cyberbullismo, grazie appunto alla tecnologia digitale, consente ai malintenzionati di infiltrarsi nelle case e nella vita delle vittime, di materializzarsi in ogni momento, perseguitando con messaggi, immagini, video offensivi o attraverso la pubblicazione di immagini e video in siti web, social e blog. L’uso delle tecnologie digitali rende praticamente impossibile sottrarsi alle vessazioni, la vittima può essere colpita 24 ore su 24 e ovunque si trovi. Nemmeno la casa, la propria camera sono un rifugio sicuro. In più, il cyberbullo può avere un pubblico potenzialmente enorme e continuare a rimanere anonimo o, come minimo, non raggiungibile fisicamente. Questa opportunità può indurlo a colpire in modo ancora più duro. Il bullo generalmente è poco empatico, non riesce a decifrare le emozioni degli altri, questa sua carenza percettiva viene amplificata dalla mancanza di feed-back sugli effetti delle azioni a causa del mancato contatto diretto con la vittima. Le conseguenze possono essere gravi e persistenti come nel bullismo tradizionale, anche se non c’è contatto fisico.

Il cyberbullo, attraverso il “profilo utente”, può diventare un’altra identità, in una sorta di sdoppiamento di personalità. L’anonimato favorisce forme di disinibizione, quidi può diventare bullo anche chi non riesce ad esserlo nella realtà. La rete è un amplificatore e anche persone timide, dietro ad uno schermo, possono perdere le naturali inibizioni e diventare aggressive e crudeli.

I bambini o i ragazzi vittima di bullismo cambiano improvvisamente il loro comportamento con gli amici, a scuola, a casa, o in altri luoghi dove socializzano. Possono diventare restii a frequentare ambienti o eventi che coinvolgono altre persone, evitare l’uso di computer, telefonini e altri dispositivi per comunicare con gli altri oppure controllare ossessivamente la messaggistica.

Si rivelano particolarmente stressati, allertati o inquieti ogni volta che ricevono un messaggio o che arriva una notifica. Mostrano scarsa autostima, tristezza, disturbi alimentari o del sonno, tendono a piangere più frequentemente.

Sono tutti segnali che devono allarmare i genitori ed indurli ad indagare per poi intervenire.

Collegato al cyberbullismo e comunque all’uso delle tecnologie digitali esiste un altro rischio non trascurabile, quello del GROOMING O ADESCAMENTO

Ci sono adulti che e si fingono ragazzi ed amici e puntando all’adescamento: convincono, seducono e lusingano abilmente i giovani utenti i quali possono recarsi ad appuntamenti e correre seri rischi. Sebbene la Rete non sia assolutamente una "giungla" abitata da criminali, possono verificarsi episodi incresciosi e pericolosi. Certi "amici" potrebbero essere tutt'altro rispetto a quello che dicono di essere.

Non è attraverso la proibizione ed i divieti che si arriva però alla tutela dell’incolumità e della privacy, l’accesso alla rete richiede un’educazione. Così come per la guida di un’auto si rende necessaria la patente, anche per il web è necessaria una “netiquette”, o galateo della rete, che può aiutare a maturare una piena consapevolezza dei rischi.

I bambini o ragazzi a volte usano il web come se fosse un diario e invece non devono proprio affidargli confidenze personali perché sono informazioni che rivelano aspetti di vulnerabilità sui quali i cyberbulli possono agire, sui quali le vittime possono essere colpite e manipolate a colpo sicuro.

Un altro fenomeno connesso all’uso del digitale è la pedopornografia.

La pedo-pornografia è un reato penale, quindi lo è produrre materiale di questo tipo, ma anche detenerlo e soprattutto diffonderlo. Pur se prodotto da una persona minorenne, come nel caso del sexting, si tratta di materiale illegale. I ragazzi, nello scambio di foto intime possono inconsapevolmente incorrere in seri guai con la giustizia.

Anche alcune condotte autolesionistiche possono essere apprese per imitazione dal web, ad esempio il cutting.  Si tratta di una pratica molto diffusa presso le preadolescenti che consiste nel procurarsi tagli superficiali sulle braccia e gambe. Il fenomeno delle ragazze cutter, deve la sua diffusione proprio ai gruppi web. Le giovani coinvolte non trovano le parole che possano alloggiare i loro sentimenti e la loro sofferenza legata alla crescita, per cui la esprimono attraverso degli agiti, gesti dolorosi che sono innanzitutto una richiesta di aiuto, un modo inadeguato e disperato di attirare l’attenzione. Tale pretica masochistica diventa un’occasione per identificarsi, per sviluppare un senso di appartenenza con altre persone che condividono la medesima difficoltà e solitudine.

E’ necessario che i genitori affianchino i figli quando muovono i primi passi nella rete, così come li hanno aiutati a muovere i primi passi per la strada, tenendoli per mano, mostrando loro le condotte corrette, essendo loro d’esempio, indicando i pericoli e così via, in modo da poter capire con quali criteri si muovono, se sono prudenti. Altrettanto gradualmente li devono guidare nell’uso dei social, spiegando di volta in volta quali sono i rischi, cosa può essere condiviso e con chi e soprattutto spingendo a privilegiare sempre il contatto diretto con le persone, l’unico che consente di sviluppare le abilità sociali reali. Nel mondo reale potranno imbattersi in difficoltà, frustrazioni, delusioni, ma anche queste sono esperienze fondamentali e imprescindibili nella vita, sono tappe che non possono e non devono essere saltate perché allenano alla tolleranza della frustrazione e a ridimensionare l’idea che i bambini e i ragazzi hanno di se stessi. La tentazione dei ragazzi “iper-protetti” (dove il concetto di protezione viene inteso in senso riduttivo), sarebbe quella di rifugiarsi nell’illusoria realtà del web, ma i genitori devono sollecitare ad affrontare le difficoltà evitando di favorire o consentire comodi comportamenti di evitamento, altrimenti l’eccesso di protezione veicola un messaggio di scarsa fiducia nelle possibilità di farcela dei figli, l’eccessivo accudimento rende insicuri.

Gli adulti devono mettere i ragazzi in guardia dal condividere, soprattutto con gli sconosciuti, informazioni personali che consentano una loro rintracciabilità, quali indirizzi, numeri di telefono, immagini che possano solleticare le fantasie di pedofili e malintenzionati che agiscono impuntiti ed indisturbati, garantiti dall’anonimato che li rende ancora più pericolosi. In realtà, siccome anche il cyberbullo lascia delle tracce nel web, esiste la possibilità che venga bannato e anche identificato e denunciato. I genitori devono far capire l’importanza di segnalare soprusi e comportamenti persecutori ed affiancare i figli in questa azione, segnalare i fatti alla polizia postale o comunque alle forze dell’ordine. E’ essenziale far capire la differenza esistente fra la denuncia civile e il vile “fare la spia”.

Perché questa educazione sia possibile è però necessario che genitori siano in primis informati e consapevoli dei rischi che i loro figli corrono, altrimenti possono colludere con gli stessi imbrogliando il provider.

Si pretenderebbe che gli insegnanti si occupassero anche dell’educazione all’uso della rete, ma in realtà i ragazzi trascorrono molto più tempo a casa, in famiglia, ed è lì in particolare che utilizzano gli strumenti elettronici, quindi è sulle famiglie che bisogna intervenire oltre che, ovviamente, sui ragazzi di cui si occupano le forze dell’ordine con interventi mirati nelle scuole.

Comunque è importante per i ragazzi riuscire a chiedere aiuto quando è il momento, chiederlo agli adulti di riferimento: insegnanti e genitori. I ritmi frenetici di vita comprimono purtroppo sempre più gli spazi di dialogo all’interno della vita familiare.

                  Michela Gallina