Numero 204, pag 4 - Luglio 2018

La Gilda degli Insegnanti di Treviso ha chiesto la revocatoria, ossia l’annullamento di una sentenza del Consiglio di Stato, frutto di un errore materiale dell’Organo di Magistratura Amministrativa che ha risposto ad un ricorso diverso rispetto a quello depositato dall’O.S..

 

 

La questione sollevata nel ricorso riguarda la trasparenza promossa dalla recente riforma del 2016 che ha introdotto (art. 1, Dlvo 33/2013 come modificato dal D.lvo 97/2016) “il principio dell’accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, in forza del quale il sindacato ha richiesto alle scuole di conoscere i nomi dei docenti destinatari del bonus premiale e della cifra corrisposta. Tale richiesta era motivata dalla necessità di evitare che si creasse una situazione di opacità, anticamera di forme di favoritismo, clientelismo, arbitrarietà e finanche corruzione. Da non dimenticare infatti che perfino la Costituzione, all’art. 97, raccomanda che sia assicurato il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, dato che la stessa gestisce denaro pubblico e quindi di tutti. 

Il fatto che un dirigente scolastico si aspetti un controllo generalizzato sull’uso che viene fatto delle risorse pubbliche può fungere da deterrente per evitare le storture e gli illeciti.

A dispetto di questa riforma promossa dal Governo, il direttore dell’Ufficio Scolastico regionale del Veneto, ha inviato una circolare ai dirigenti scolastici in cui vietava la comunicazione dei nominativi dei destinatari dei premi e i relativi importi. E’ inspiegabile che il Governo, con grande enfasi, annunci un’operazione anticorruzione epocale, rendendo la pubblica amministrazione una casa di vetro, e i suoi dirigenti si muovano in direzione contraria creando, di fatto, quell’opacità che lo Stato voleva combattere ed eliminare, come se ci fossero due livelli paralleli: quello dei proclami e quello esecutivo.

Il TAR, muovendosi anch’esso in un’ottica di contenimento della trasparenza, ha ritenuto prevalente la tutela dell’interesse individuale della privacy rispetto a quello collettivo dell’applicazione del nuovo principio, peraltro con riferimento ad un compenso monetario che non è assolutamente un dato sensibile.

Sorprendentemente il Consiglio di Stato, in un momento di vigenza della stessa legislatura che aveva formulato la nuova norma, il 19 gennaio scorso non solo non ha ribaltato la sentenza del TAR, ma ne ha perfino giustificato la posizione richiamando la normativa degli anni 90 (L. 241/90) che consentiva l’accesso solo sulla base di specifici interessi individuali da documentare, vanificando e sconfessando così l’innovazione del 2016. In sintesi un’Istituzione dello Stato rinnega lo Stato.

La riprova di questo atteggiamento conservatore sta nella risposta che il CDS ha dato: è la stessa fornita per un altro ricorso parallelo di altra organizzazione sindacale, basato sulla legge 241/90 e sull’articolo 6 del CCNL. A richieste diverse, basate su differenti presupposti, è stata data incredibilmente l’identica risposta.

A questo punto ci auguriamo che il Consiglio di Stato colga l’occasione della richiesta di revocatoria per una pronuncia che dia spazio ad una vera ed ampia applicazione del principio della trasparenza in applicazione delle norme europee.                                                                               M.G.