Numero 203, pag 6 - Maggio 2018

“Usate la lingua di genere”

L’argomento era talmente importante e urgente per le nostre scuole che ha richiesto la pubblicazione di un vademecum di 30 pagine, in un’elegante edizione, per dettare le linee-guida che le Amministrazioni dovranno seguire e così superare la discriminazione linguistica di genere, tra femminile e maschile.

 

Sono stati necessari due Decreti della Ministra (o ministra? Non sono ancora stabilite linee-guida per maiuscole e minuscole…) per costituire un gruppo di lavoro che, guidato dal/dalla docente universitario/a di linguistica italiana di Modena e Reggio Emilia, Cecilia Robustelli, trovasse stonature e rimedi per rispettare le diverse identità di genere.

D’ora in poi le Scuole dovranno, nel linguaggio amministrativo, usare correttamente (?) la concordanza tra l’articolo e il nome, se riferito ad una professione oppure ad un ruolo istituzionale. Così: “la ministra” e non “la ministro”, usare la versione femminile di tali incombenze (prefetta, architetta, assessora, revisora….), evitare l’uso del solo maschile nel caso di una o più persone (la professoressa e il professore, le alunne e gli alunni). Nel caso estremo di difficoltà si consiglia di ricorrere a forme neutre o indefinite, perifrasi….

Sostituire: “Gli alunni impreparati” con “le alunne e gli alunni impreparati” oppure “le alunne e gli alunni che hanno solo in parte rielaborato i contenuti disciplinari” ma ancora meglio “l’utenza che deve ancora dimostrare il proprio successo formativo”.

Pare comunque una visione classista: perché soltanto cariche importanti e professioni di rilievo? Anche la muratora, la maniscalca e la falegnama avrebbero diritto ad analogo rispetto della loro femminilità. Per la rivalutazione della figura maschile, consigliabili il nutricio (col biberon, ovviamente) e il farmacisto.

La decisione discrimina anche gli animali, che ormai sappiamo sensibili quasi tanto e come gli umani (e le umane): lo zànzaro (innocuo, succhia i sangue solo la femmina!), il cìmicio e il mantido religioso (che si lascia mangiare dalla femmina, eh!); la mùricia (che dà la porpora come il maschio, che io sappia), la granchia e la scorpiona…

I nomi promiscui non sono più attuali, fatevene una ragione, sono da relegare tra le espressioni oscurantiste di epoca ante-Fedeli.

Le differenze di numero (singolare e plurale) sono invece in molti casi sottovalutate, si può continuare tranquillamente ad utilizzarle.

Ma, riflettendo, perché alla ex-ministra si concede il plurale? Sarebbe più adatto a lei il semplice cognome “Fedele”, visto che è una persona sola. La storia e il diritto all’uso dei cognomi è un’altra fatiscente usanza da rivedere, ereditata da antenati forse anche senza merito…non vi pare? In famiglia sua saranno stati sempre tutti/tutte “fedeli/fedele”?

Giuliana Bagliani

Trieste, 20 marzo/marza 2018