Stampa
Categoria: Settembre2017
Visite: 1995

Numero 200, pag 3 - Settembre 2017

Da un Dirigente scolastico del Friuli è partito un altolà alle famiglie per vigilare e mettere un freno all’uso improprio dei sistemi digitali, che prevedevano la raccolta e la diffusione tra alunni e genitori di stupidaggini (nel migliore dei casi), più o meno con linguaggi offensivi e pericolosi nei confronti della scuola.

In alcuni casi ne sono rimasti coinvolti anche docenti che poi sono stati giustamente sanzionati.

I social, le chat che hanno sostituto i tradizionali modi di comunicare, consentono di connettersi contemporaneamente e istantaneamente con una vasta platea; il bisogno di sentirsi “connessi” sta forse illusoriamente colmando il senso di solitudine e coinvolge compulsivamente un numero sempre maggiore di persone, catturate da questo succedaneo tecnologico degli ansiolitici: se non sei connesso, sei escluso, sei fuori, sei vecchio, arretrato.

Purtroppo l’uso che spesso viene fatto della tecnologia digitale, la quale pur presenta degli innegabili vantaggi sul piano della velocità e diffusione delle informazioni, non è sempre adeguato e costruttivo, è come se il giocattolino fosse sfuggito di mano… le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

 

Nel contesto scolastico, le chat servono sempre più frequentemente per insultare e deridere i compagni più fragili, utilizzando anche video e fotografie, immagini scandalose che producono conseguenze talvolta tragiche nella reputazione e psiche dei giovani che sono presi di mira. Il cyber-bullismo ha raggiunto numeri preoccupanti. I ragazzi  soffrono tantissimo l’esclusione dai social, misurano il loro livello di abilità sociale dal numero di contatti e di “like” che riescono a collezionare, non rendendosi conto di quanto queste manifestazioni siano solo parziali surrogati delle amicizie vere e reali. Tendono a condividere foto e messaggi anche con sconosciuti che, protetti dall’anonimato, possono rivelarsi persone poco raccomandabili, senza scrupoli, il tutto con buona pace della privacy propria ed altrui e della sicurezza personale.

Ma il fenomeno non riguarda solo i giovani, in queste dinamiche sono molto coinvolti anche gli adulti e quindi i genitori dei nostri utenti.

 

I gruppi di WhatsApp raccolgono troppo spesso pettegolezzi e cattiverie, divulgando senza freni critiche pesanti nei confronti dell’Istituzione scolastica, del singolo docente, dei compagni di classe del figlio, di altri genitori, del Dirigente scolastico, della qualità della mensa e persino dei collaboratori scolastici. Per le caratteristiche del mezzo, le informazioni si ingigantiscono, la presa sull’emotività è amplificata. L’immediatezza dello strumento è ingannevole, dà la sensazione di poter usare la messaggistica alla stregua di uno sfogo personale verbale, invece quanto viene scritto rimane e può raggiungere una platea potenzialmente infinita di persone, di questo e delle conseguenti responsabilità, forse ancora molti non hanno preso coscienza.

 

È deleteria la rinuncia di genitori e docenti ad un confronto diretto, de-visu, nelle forme e nei luoghi istituzionali, con rispetto, franchezza e lealtà, soprattutto senza la presenza dei bambini/alunni, che devono mantenere la fiducia verso i docenti, la scuola e la società. La comunicazione mediata dai social è disinibita ma in realtà molto più vile, è più difficile confrontarsi direttamente con un interlocutore, un avversario, presente, fare i conti con le sue reazioni,

 

 Il display di un telefonino, il monitor di un pc, dietro a cui si nascondono le persone, creano una sorta di schermo, di barriera protettiva e danno un’illusione di onnipotenza, invulnerabilità, impunibilità; questo a volte scatena gli istinti aggressivi peggiori, anche in coloro che nelle relazioni reali appaiono solitamente timidi o inibiti.

 

La comunicazione rapida può essere funzionale, ma non deve essere usata a discapito della convivenza serena all’interno delle classi e neppure danneggiare i rapporti scuola e famiglia.

Se però gli insegnanti dovessero rimanere vittime di calunnie o diffamazioni, corse sul filo del web, si ricordino che tutto lascia una traccia, una prova che può essere usata in giudizio per una denuncia e sarebbe proprio il caso che qualcuno cominciasse a farlo come un avviso ai naviganti.

Sarebbe auspicabile anche una seria educazione per tutti, adulti e ragazzi, al rispetto delle regole della privacy e della netiquette, necessaria almeno quanto l’educazione stradale, dal momento che anche un uso sconsiderato delle tecnologie può produrre danni rilevanti nella reputazione e nella psiche.

 

Michela Gallina e Giuliana Bagliani