Numero 192, pag 1-2 - Novembre 2015

Si ostinano a chiamarla "La Buona Scuola", una pessima riforma che in altri tempi, meno vulnerabili ed esposti al potere del marketing e della comunicazione, si sarebbe semplicemente chiamata: "Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti", seguita magari dal nome del Ministro di turno che ci avrebbe messo, e con almeno un po' di imbarazzo, la faccia. 

 

E così dal 13 luglio scorso, la  107/2015 è legge dello Stato, nonostante le nutrite e vivaci proteste ed opposizioni, nonostante per qualche momento abbia fatto vacillare la stabilità di Governo, il progetto di demolizione della scuola pubblica è andato avanti in modo inesorabile.

A chi si sia preso la briga di leggere il corposo testo, sarà subito balzata in evidenza la struttura ostica dello stesso: un papocchio criptico, zeppo di rinvii ad altri testi normativi che ne rendono difficile sia la lettura che la comprensione. Si tratta di un documento costituito di un unico articolo a sua volta composto di ben 212 commi, perchè questa struttura? Perchè l'Ordinamento dello Stato Italiano prevede che le leggi vengano votate articolo per articolo e così, con un'unica votazione, è stata licenziata in blocco tutta la riforma, con buona pace della democrazia e del dibattito. Viene dunque spontaneo chiedersi a cosa siano valsi mesi di protesta, scioperi, manifestazioni, flash mob, raccolte di firme, blocco degli scrutini e quant'altro. Prima di farsi invadere da un senso  di impotenza e sconforto, è bene considerare che in questi momenti di dissenso, la categoria ha finalmente ritrovato una sua identità, una capacità di reazione che l'ha resa più coesa, attiva e consapevole. Ma oltre e al di là di questo, dobbiamo anche riconoscere che mentre nella legge approvata sono rimasti alcuni aspetti a dir poco esecrabili, altri pericoli sono stati scongiurati.

 

GLI ESITI POSITIVI DELLE BATTAGLIE SINDACALI

- Innanzi tutto è stata salvaguardata la libertà di insegnamento. A fronte di un DDL che individuava nel dirigente il responsabile della didattica, relegando quindi il docente al ruolo di mero esecutore, una sorta di "manovalanza" dell'istruzione, la L. 107 restituisce le prerogative proprie degli organi collegiali, attribuendo la competenza didattica al Collegio dei Docenti e riconoscendo il ruolo del Consiglio di Istituto.

- E' stata mantenuta la progressione stipendiale per anzianità di servizio. Al posto della paventata quanto discutibile “carriera a punti” in nome di una pseudo-meritocrazia, che avrebbe garantito a pochi docenti la possibilità di percepire aumenti di salariali a scapito della maggioranza relegata al solo stipendio iniziale, nella 107 è rimasta la progressione per gradoni di anzianità valida per tutti.

- E' scomparsa la banca-ore. Il DDL voleva introdurre, subdolamente, un aumento dell'orario di servizio costringendo i docenti al recupero "flessibile" (reperibilità sulla base delle esigenze dell'amministrazione) di ore di lezione non svolte durante i periodi di sospensione delle attività didattiche. Questo avrebbe rappresentato la fine di un orario stabile. La versione definitiva della 107 non ne fa più menzione.

- Gli ambiti territoriali non rappresentano più la condanna per tutti. Non ancora per altro istituiti, sono rimasti anche nel testo definitivo della 107, ma non raccoglieranno più l'intera comunità di docenti, bensì solo quelli assunti nelle fasi B e C del Piano straordinario di assunzioni, quelli che chiederanno il trasferimento, i soprannumerari ed i perdenti posto. Gli insegnanti già in ruolo continueranno quindi a conservare la loro titolarità di sede.  Questa situazione che ha evitato il male peggiore per tutti, ha creato però una notevole discriminazione all'interno della categoria spaccata in docenti di serie A: titolari di cattedra e docenti di serie B: titolari di ambito, con contratto triennale rinnovabile, soggetti alla chiamata diretta da parte del DS.